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Rubrica di cinema e spettacolo a cura di Mauro Di Stefano

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La strada sterrata verso Carcosa

E’ ormai assodato che alcune star del cinema, dando anima e corpo per un determinato progetto, maturano una vera e propria svolta nella loro vita, acquisendo credibilità e notorietà.
Prendiamo ad esempio Bryan Cranston, che dopo aver interpretato un padre goffo e tontolone nella serie Malcolm In The Middle, si è buttato a capofitto nel personaggio Walter White di Breaking Bad, interpretando un ruolo difficilissimo che l’ha portato a diventare uno degli attori più richiesti sulla piazza, oltre a far diventare il suo personaggio un vero e proprio cult.
La stessa buona sorte è capitata a Mattew McConaughey.
Da commedie romantiche e film commerciali e di massa, l’attore belloccio e muscoloso ha subito una metamorfosi totale, dal modo di interpretare a l’aspetto fisico, buttandosi in due grandissimi progetti nel 2013.
Il primo è Dallas Buyers Club, il film che gli ha fatto vincere l’Oscar come miglior attore protagonista.
Il secondo è la mini-serie tv di otto puntate di cui vi parlerò oggi, True Detective.
Da un idea di Nic Pizzolato e diretta da Cary Fukunaga, la serie ha avuto un enorme successo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo che non si è accontentato di aspettare ed ha visualizzato la serie in streaming.
Prestissimo verrà distribuito anche in Italia, e potrete seguirlo doppiato nella nostra lingua madre.
True Detective vanta una trama tanto semplice quanto efficace: Rust Cohle (Mattew McConaughey) e Martin Hart (brillante interpretazione di Woody Harrelson) sono due detective di una piccola cittadina, che viene sconvolta da una serie di omicidi macabri, tutti legati tra loro da una forte iconografia di riti tribali.

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L’indagine durerà diciassette anni, seguiremo le vicende dei nostri eroi dal 1995 al 2012, dal primo omicidio fino a quando il caso verrà finalmente risolto dopo anni di archiviazione.
Bisogna essere precisi su due punti chiave per capire appieno questa serie tv: True Detective è diverso da qualsiasi poliziesco o crime-series, non è paragonabile a CSI:Miami o telefilm simili.
Più che seguire il lato scientifico dell’indagine o le vicende poliziesche, True Detective concentra tutto il suo plot sull’introspezione dei personaggi, i due protagonisti ma anche l’assassino stesso e tutto il suo mondo farcito di umana e pura follia.
Questo spiega il secondo punto: oltre la diversità anche la scarnificazione della trama, resa dinamica dai vari cambi temporali (Rust e Martin nel 1995 che indagano, sempre loro nel 2002 interrogati dall’FBI che raccontano le vicende).
Dunque una serie tv poliziesca che non è davvero poliziesca: i temi trattati sono molto più introspettivi, riflessivi, addirittura in alcuni casi filosofici.
Rust è un uomo dall’oscuro passato, è paranoico, totalmente pessimista, sensitivo, avvezzo all’uso di alcool e droghe sia nella vita privata che sotto copertura nella squadra narcotici, un sociopatico completamente dedito al suo lavoro, cosa che gli permetterà di non abbandonare il caso quando sembrerà concluso e di conseguenza archiviato.
Sembra quasi un personaggio uscito da un libro di Sartre.
Martin è l’esatto opposto del suo collega: dall’esterno è un uomo rude, cerca di dividere la sua vita tra il lavoro e la sua famiglia sperando di dare il massimo in tutto. In verità Martin si spaccia soltanto come uomo esemplare, è debole ed insicuro, tradisce la moglie ed è superficiale nel suo lavoro.
Un super-uomo di Nietzsche mancato.

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Ovviamente il rapporto tra i due sarà burrascoso date le differenze, ma nessun male viene per nuocere: Rust e Martin dopo anni di litigi e silenzi d’odio si rincontrano, per mettere una pietra sul caso e anche sulle loro divergenze, capendo che proprio i loro difetti li rendevano umani, e quindi deboli ed uniti contro un male che di umano aveva davvero poco.
Ed è proprio l’assassino, il fantomatico Re Giallo, ad incarnare tutto quello che l’uomo è capace di fare, e di distruggere, che ci accompagna in un viaggio in discesa verso Carcosa, il suo tempio del male.
Regia e fotografia sono ai massimi livelli: Fukunaga ci regala un esempio di come una serie tv possa colpire grazie anche all’estetica delle inquadrature o il modo stesso di girare (nella puntata 1×04 possiamo trovare un piano sequenza di ben 6 minuti, grandi perle di rarità in un telefilm), la scenografia accompagnata da una colonna sonora pregiata e ricercata rappresenta perfettamente l’atmosfera della trama, dai campi solitari allo stesso labirinto-Carcosa dell’assassino che ci proietta dentro il Male con la M maiuscola.

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True Detective è questo e tanto altro ancora, esplora con minuzia i rapporti umani con la società, con gli affetti, la religione, racconta con chiarezza della debolezza umana e di quanto ci si possa spingere oltre quella linea, finite le otto puntate della mini-serie si rimane con lo stomaco in subbuglio e la testa colma di domande.
Vi sono state molte critiche sull’eccessiva brevità della serie, sul fatto che non ritroveremo gli stessi personaggi nella seconda stagione che tratterà una storia completamente differente… io mi astengo e ribatto dicendo che la prima stagione di True Detective è un piccolo capolavoro, che riceverà sicuramente anche il giusto consenso qui in Italia.